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Yu Xuzuan,presidente
Associazione Cinesi e Italo Cinesi di Torino,
da 20 anni abita a Torino,il suo desiderio l'integrazione tra le
culture
La maggior parte degli immigrati cinesi che vivono a Torino, in
Italia e in Europa, provengono dalla Cina sud-orientale, in
particolare dalla provincia di Zhejiang, la quale - secondo le
statistiche cinesi del 1995 - ha una popolazione di 43 milioni e
190 mila persone, essendo grande circa quattro volte il
Piemonte, e una delle più popolate del paese. Attualmente questa
regione vanta una buona base industriale nel settore tessile,
meccanico, petrolchimico, alimentare, minerario ed edile. Altre
risorse sono la pescicoltura e l’allevamento, ma la principale
attività resta comunque l’agricoltura. Di conseguenza, la
maggioranza della popolazione è costituita da contadini e vive
in piccoli paesi vicini tra loro.
Le origini della comunità cinese di Torino risalgono al periodo
tra la prima e la seconda guerra mondiale, dopo che i francesi
reclutarono nel 1917 parecchie migliaia di uomini da diverse
regioni della Cina, tra cui Zhejiang, per essere impiegati
nell’industria bellica, e soprattutto per scavare le trincee
sulla frontiera nord, tra la Francia e le Fiandre.
Al termine del primo conflitto mondiale molti tornarono in
patria, ma alcuni, soprattutto dello Zhejiang, rimasero in
Europa. A Torino erano non più di poche decine.
Questa diaspora iniziale innescò una reazione a catena di
chiamate per ricongiungimenti famigliari e reti di amicizie tra
compaesani. All���inizio erano per lo più uomini soli, giovani che
si dedicavano alla vendita ambulante. In seguito si aprirono i
primi laboratori di pelletteria e nacquero i primi ristoranti.
Oltre ai bisogni interni alla comunità occorre anche considerare
il successo che la cucina cinese ha incontrato tra la
popolazione italiana nel periodo tra gli anni Settanta e
Ottanta.
I motivi principali dell'emigrazione attuale dallo Zhejiang,
possono schematicamente ricondursi a: 1. il ricongiungimento
familiare, collegato al tradizionale e radicale senso della
famiglia; 2. la ricerca del lavoro, causata soprattutto dalla
sovrappopolazione che porta ad un elevato tasso di
disoccupazione; 3. la diversificazione dal Nord della Cina,
ormai molto più modernizzato.
La lingua usata comunemente dai cinesi in Italia è il dialetto
della propria provincia. Solo nel caso che necessiti la
comunicazione con altri connazionali che non sono dello stesso
paese, utilizzano come idioma la lingua ufficiale, il cosiddetto
Mandarino (Pu Tong Hua). Questo fenomeno è determinato anche dal
fatto che la comunità cinese di Torino si può suddividere
ulteriormente in comunità più piccole, composte spesso dai
cinesi che appartengono allo stesso paese. Per esempio nella
città di Torino, più dell'80% delle persone provengono dal
distretto di Yuhu, in cui il cognome più diffuso è Hu, questo
spiega il perché dei tanti cinesi che si chiamano Hu. La lingua
nazionale è parlata correntemente da coloro di più recente
immigrazione, mentre gli appartenenti ai nuclei di più antico
insediamento e le persone anziane parlano il dialetto e solo
come "seconda lingua" la lingua nazionale.
I ragazzi cresciuti in Italia per la maggior parte parlano
l’italiano e il dialetto, mentre, a meno che non siano andati in
Cina per studio, non conoscono quasi la lingua nazionale.
Repubblica Popolare Cinese
Superficie: 9.596.986 Km²
Abitanti: 1.300.000.000
Densità: 133 ab./Km²
Forma di governo: Repubblica popolare
Capitale: Pechino (6.800.000 ab., 11.300.000 aggl. urbano)
Altre città: Shanghai 7.300.000 ab. (13.585.000 aggl. urbano),
Tientsin 9.315.000 ab., Chongqing 7.000.000 ab., Wuhan 6.200.000
ab., Canton 5.000.000 ab., Dalian (Lüda) 5.000.000 ab., ab.,
2.200.000 ab..
Gruppi etnici: La Cina conta 56 gruppi etnici: Han 93%, Mongoli,
Coreani, Manciù, Zhuang, Hui, Uighuri, Yi, Miao, Tibetani e
altri 7%
Paesi confinanti: Mongolia e Russia a NORD, Kazakistan e
Kirghizistan a NORD-OVEST, Tagikistan e Afghanistan a OVEST,
Pakistan e India a SUD-OVEST, Nepal, Bhutan, Myanmar, Laos e
Vietnam a SUD, Corea del Nord ad EST.
Monti principali: Everest 8850 m, K2 8616 m, Lhotse 8516 m,
Makalu 8463 m, Cho Oyu 8201 m, Gasherbrum I 8068 m, Broad Peak
8047 m, Xixabangma Feng 8046 m, Gasherbrum II 8035 m
Fiumi principali: Chang Jiang (Fiume Azzurro) 5800 Km, Huang He
(Fiume Giallo) 4845 Km, Xi Jiang 2129 Km
Laghi principali: Qinghai Hu 4000 Km², Dongting Hu 3100 Km², Lop
Nur 2500 Km��, Hulun Nur 2400 Km², Tai Hu 2240 Km², Poyang Hu
1800 Km², Hanka 4400 Km² (totale, compresa parte russa)
Isole principali: Hainan 33.670 Km²
Clima: Molto vario (Himalayano, Polare, Continentale, Temperato,
Tropicale)
Lingua: Mandarino (ufficiale), Yue, Wu, Hakka, Xiang, Gan, Min,
Zhuang, Hui, Yi e altre
Religione: Le religioni tradizionali sono: Buddhismo, Taoismo,
Confucianesimo. Parecchi musulmani e pochi cristiani.
Moneta: Yuan cinese
Divisione Amministrativa: 22 province (esclusa Taiwan), 5
regioni autonome, 4 municipalità e 2 regioni a statuto speciale:
Hong Kong (1092 Km², 7.211.000 ab.), Macao (21 Km², 454.000 ab.)
Aspettativa di vita alla nascita: 71 anni (uomini 69 anni, donne
74 anni)
Alfabetizzazione:
Popolazione con istruzione superiore: 2,9%,
Popolazione con istruzione secondaria: 41,8%
Popolazione senza istruzione: 12,4%
Prodotto interno lordo: (stime 2002) 1.237 miliardi dollari
PIL procapite: 970 dollari
Importazioni: (1997) 142.400 milioni di dollari
Esportazioni: (1997) 182.700 milioni di dollari; verso Hong Kong
24%, Giappone 19%, USA 17%
Cronologia fondamentale:
La storia della Cina è la più lunga del mondo con tracce della
sua civiltà che risalgono a più di 5.000 anni fa.
___________________
Cina lontana e… vicina…
Tra i vari film prodotti nel 1967, due titoli, messi assieme,
formano quasi una battuta: “La Cina è vicina” e “Lontano dal
Vietnam”.
Il primo, regia di Marco Bellocchio, descrive una sporca ����lotta
di classe”, senza esclusione di colpi, tra due individui molto
diversi, che mirano entrambi a diventare assessore. Nello stesso
tempo il film deride mitomanie e velleità dei gruppi politici
extraparlamentari di allora.
“Lontano dal Vietnam” è un documentario realizzato da un
collettivo di registi illustri come Alain Resnais, Claude
Lelouch, Jean-Luc Godard, Agnès Varda. La sequenza più famosa,
“Camera Eye”, è una lunga inquadratura fissa di Godard che,
“lontano dal Vietnam”, sottopone a critica se stesso mentre
esamina il rapporto cinema/impegno politico. Il regista conclude
invitando gli spettatori a “creare un Vietnam in se stessi”.
Cosa c’entra questo con la Cina ? Della Cina si può parlare in
tanti modi: tonnellate di inchiostro per milioni di persone;
migliaia di articoli, testi, studi, ricerche; punti di vista
molto diversi. Ma cos’era la Cina per noi, che avevamo più o
meno vent’anni nel 1967?
C’era chi, fra di noi, non si faceva molte domande sul mondo.
Erano quelli abbastanza soddisfatti di vivere secondo i canoni
della borghesia occidentale; quelli che accettavano l’ordine
politico in modo più o meno acritico, come qualcosa di
esistente, che non può essere cambiato. Ad altri, invece, il
sistema così com’era non piaceva molto. In questo modo di vedere
l’organizzazione politica occidentale, venivano evidenziate le
profonde ingiustizie sociali del sistema capitalista che
produceva vantaggi per poche persone, svantaggi per tutti gli
altri. La militanza politica, per molti di noi, era spinta
inizialmente dal desiderio di sapere di più, di conoscere la
vera realtà del mondo, di confrontare le varie organizzazioni
sociali, di andare al di là delle notizie dei giornali o della
Tv, dei quali non ci fidavamo.
Il telegiornale ci andava stretto e non c’era Internet. Per
cercare di capire discutevamo insieme, leggevamo molto, ci
riunivamo in assemblee senza fine, creavamo gruppi di studio,
scrivevamo sui nostri giornali “alternativi” e, di notte,
attaccavamo manifesti “sovversivi”. In questo contesto, la
“Rivoluzione Culturale Cinese” (1966-1969) rappresentava
l’esempio di una evoluzione sociale e politica che all’epoca
sembrava straordinaria. Ma, come ci si era arrivati ?
Un po’ di storia:
Il passaggio della Cina dalla monarchia alla repubblica,
avvenuto tra il 1911 e il 1912, con la cosiddetta “Rivoluzione
Cinese”, aveva canalizzato lo scontento della borghesia contro
l’amministrazione e provocato la caduta dell’ultimo Imperatore
della Cina.
Ne era seguito un periodo di relativa stabilità, fino al 1916,
quando, alla morte del Presidente della Repubblica Yuan Shikai,
cominciarono le rivolte dei contadini contro i proprietari
terrieri.
I latifondisti, non fidandosi della organizzazione statale
repubblicana, reagirono alle rivolte ingaggiando i “Signori
della guerra”, cioè i capi militari di eserciti privati, che
vennero assoldati per difendere le loro terre. Gli eserciti
mercenari, una volta ottenuto il potere con la forza,
cominciarono a riscuotere le imposte per conto dei proprietari
terrieri, mentre si arricchivano col saccheggio, con il
commercio delle armi e il traffico di droga.
Nel frattempo (1921) a Shangai era stato fondato il Partito
Comunista Cinese, che nel 1922 aderì al Comintern, (Terza
Internazionale, o Internazionale Comunista) il movimento nato in
Russia nel 1919 ad opera di Lenin, dopo il successo della
Rivoluzione Russa. Secondo i principi politici della Terza
Internazionale, i partiti comunisti locali avrebbero dovuto
trovare un’intesa coi nazionalisti del loro paese, per
combattere assieme le ingerenze dei paesi stranieri
imperialisti.
L’alleanza tra Nazionalisti e Comunisti si perfezionò tra il
1923 e il 1924, facilitata dalla amicizia personale del leader
nazionalista Sun Yat-Sen con Lenin, che aveva promesso
l’appoggio dell’Unione Sovietica alla causa.
Il Guomindang (Partito Nazionalista Cinese) fu riorganizzato con
l’apertura e l’ammissione del Partito Comunista.
Il nuovo esercito cinese, composto da aderenti al Partito
nazionalista e al Partito Comunista, fu addestrato in una nuova
accademia militare istituita nei pressi di Canton, con l’aiuto
dell’Unione Sovietica.
L’esercito così formato, dopo una guerra durata due anni (1926 –
1928), ebbe finalmente ragione sui Signori della Guerra e sui
loro eserciti.
Nello stesso tempo nacquero i primi contrasti sul tipo di
governo da insediare nelle regioni rese libere dal potere dei
proprietari terrieri. I Comunisti erano favorevoli alla
autogestione locale delle attività produttive e al mantenimento
di una milizia popolare, mentre i Nazionalisti optavano per un
controllo centralizzato delle attività civili e militari.
A partire dal 1926, dopo la presa di Shangai, i nazionalisti
cominciarono ad arrestare e massacrare i dirigenti comunisti
cittadini, distruggendo in pochi mesi l’organizzazione del
partito.
A questa situazione il Partito Comunista, tagliato fuori dalle
città e dalle masse operaie, reagì con una revisione politica
che focalizzava nella campagna e nei contadini la nuova “base
politica” del partito.
Questa necessità per il Partito Comunista, di una alleanza con i
contadini, era quanto da anni affermava un dirigente del partito
di nome Mao Tse-Tung.
In seguito all’opera di Mao e dei suoi seguaci, tra il 1927 e il
1930, furono organizzate le “Basi Rosse”, composte da gruppi di
contadini addestrati alla guerriglia. Il movimento si estese
fino a controllare un territorio di circa novanta milioni di
abitanti.
Negli anni successivi la Cina è il teatro di due guerre che
avvengono nello stesso tempo.
La prima, è una guerra civile, che vede contrapposti
Nazionalisti e Comunisti per la presa del potere in Cina.
In questo scenario avviene, nel 1934, la famosa “Lunga Marcia”
dei Comunisti, guidati da Mao Tse-Tung, per sfuggire
all’accerchiamento dell’Esercito Nazionalista. In un anno
vengono percorsi a piedi oltre 10.000 chilometri; dei circa
100.000 soldati partiti, solo 8.000 arrivano a destinazione.
Saranno questi uomini a diventare la futura classe dirigente
della Cina Comunista.
La seconda è una guerra di difesa cinese contro gli attacchi del
Giappone che, nel 1931, ha invaso la Manciuria e cominciato il
suo tentativo di espansione in Cina.
Contro il nemico comune nel 1936, Comunisti e Nazionalisti si
alleano dando vita al Fronte Unito Antinipponico.
In questa guerra i Comunisti sono favoriti perché agiscono in
campagna, mentre i Giapponesi invadono le città, e perché
politicamente sono sostenuti da ideali.
I Comunisti si propongono come difensori dell’indipendenza
nazionale, mentre i Nazionalisti, per paura di ritorsioni o di
un embargo, sono ancora indecisi e non osano dichiarare guerra
al Giappone.
I successi dei Comunisti nella guerra contro i Giapponesi, sono
mal sopportati dai Nazionalisti che tra il 1939 e il 1941
cominciano ad organizzare azioni militari contro i loro stessi
alleati. Questa situazione di guerra interna viene sfruttata dai
Giapponesi che, nei due anni successivi, sferrano una serie di
pesanti attacchi alla Cina.
In questo periodo Mao Tse-Tung e i suoi collaboratori mettono a
punto una nuova strategia di guerra che trova le sue basi nel
marxismo-leninismo.
La riforma agraria a favore dei contadini viene applicata nelle
zone liberate, le organizzazioni locali vengono spinte alla
autogestione, nuovi impianti industriali sono realizzati un po’
ovunque.
In quest’ottica tutti devono collaborare: soldati ed ufficiali
dell’esercito, membri e dirigenti di partito sono tenuti a
svolgere, oltre ai loro compiti, anche una attività lavorativa
manuale che sia socialmente utile.
In questo consiste il cosiddetto “modello comunista di Yan’an”,
che viene apprezzato non solo dai contadini e dagli
intellettuali, ma anche dalle donne. Per Mao le donne
costituivano “l’altra metà del cielo” ed erano destinate a
sostenere un ruolo attivo nella società e nel mondo del lavoro.
Mentre si forgiava così il nuovo Partito Comunista Cinese, i
Nazionalisti, che ancora detenevano il potere, preoccupati in
seguito all’attacco giapponese a Pearl Arbour (1941), dichiarano
guerra alle Potenze dell’Asse (Germania, Italia, Giappone).
La Cina paga il suo tributo di sangue alla Seconda Guerra
Mondiale con oltre tre milioni di morti, ma il governo cinese,
nel 1945, dopo la sconfitta del Giappone, può sedere al tavolo
dei vincitori e partecipare alla fondazione delle Nazioni Unite.
La situazione interna resta poco stabile; ufficialmente il
controllo del paese appartiene ai Nazionalisti, ma enormi
porzioni del territorio cinese sono in mano ai Comunisti.
La guerra civile riprende nel 1946 in un paese ormai impoverito
dalla corruzione del governo nazionalista, dall’inflazione e
dalla recessione economica.
Mao Tse-Tung reagisce alla situazione evolvendo il proprio
pensiero politico nella cosiddetta “Nuova Democrazia”, che,
evitando estremismi rivoluzionari e prospettive troppo radicali,
ottiene l’appoggio di gran parte della popolazione.
Mentre i Nazionalisti si rinchiudono nei palazzi del potere, i
Comunisti mostrano interesse ai veri problemi della gente e ,
favorendo le organizzazioni locali auto - gestite, cercano di
superare le difficoltà.
Con l’appoggio popolare viene combattuta una dura guerra civile
che si conclude nell’ottobre del 1949, con la fondazione della
Repubblica Popolare Cinese. Mao Tse-Tung viene nominato
presidente del Consiglio del governo centrale del popolo, e
acclamato come “Il Grande Timoniere”. Sotto la sua direzione la
riforma agraria viene estesa a tutto il paese; la classe dei
proprietari terrieri viene di fatto sciolta e la terra
ridistribuita ai contadini. Mao Tse-Tung, conscio della
insofferenza dei contadini nei confronti della burocrazia
statale, punta sull’autarchia locale. La meta indicata è quella
della massima produzione agricola, ottenuta intensificando il
lavoro manuale piuttosto che ricorrendo alla tecnica. In
seguito, nel 1956, col “Discorso dei cento fiori” Mao Tse-Tung
apre la porta ad una riconciliazione con la classe
intellettuale. “Che cento fiori fioriscano, che cento scuole
gareggino”: gli esclusi di ieri vengono invitati a rientrare in
politica.
Nel 1958 Mao Tse-Tung proclama il “Grande balzo in avanti”. In
campagna le organizzazioni locali dello stato burocratico,
lasciano il posto ad un sistema capillare di comuni popolari
autosufficienti, che Mao Tse-Tung ha ideato seguendo il modello
della Comune di Parigi del 1871.
Queste “Comuni” costituiscono fino al 1980 le strutture di base
della società cinese.
Arriviamo così agli anni Sessanta. La Cina si trova in
difficoltà economiche, l’Unione Sovietica da tempo(1962) ha
cessato di fornire aiuti. All’interno del Partito Comunista
Cinese si scontrano due correnti di pensiero.
La prima, ispirata dallo stesso Mao Tse-Tung mette in evidenza
le “contraddizioni in seno al popolo e al partito”, sostenendo
la necessità di continuare la lotta di classe anche dopo
l'instaurazione del regime socialista.
La seconda, rappresentata dai Nazionalisti, si ispira al modello
capitalista, sostenendo, il primato dell’economia sull’ideologia
politica. Lin Piao, Ministro della Difesa e di fatto Capo
dell’Esercito, appoggia il nuovo movimento politico. Le idee di
Mao Tse-Tung trovano enorme consenso tra gli studenti delle
scuole superiori e delle università. I giovani si riuniscono in
formazioni. Nascono così le “Guardie Rosse” che diventano la
punta più avanzata della Rivoluzione Culturale Cinese”. Nelle
immagini di allora sono sempre raffigurati con in mano un
piccolo volume, stampato per la prima volta nel 1966, intitolato
“Citazioni dalla opere del Presidente Mao Tse-Tung”, più noto in
Occidente come il “Libretto Rosso”.
Le Guardie Rosse, che dichiarano di agire a difesa dei valori
del proletariato operaio e contadino, cominciano la loro lotta,
attaccando ogni forma di autorità, a partire dalla scuola. Molti
insegnanti, accusati di essere troppo “intellettuali”, vengono
costretti a lavorare come contadini per poter recuperare la
“purezza rivoluzionaria” del lavoro manuale.
Il movimento, nel bene e nel male, investe l’intero paese e
sottopone a critica radicale l’operato dei dirigenti di partito,
rappresentanti dello stato e ufficiali dell’esercito. Chi non è
allineato subisce un processo nel quale deve fare pubblica
autocritica del suo operato e dare le dimissioni.
Le pene comminate molto spesso sono pubbliche ed umilianti. Nei
casi più gravi i condannati vengono inviati ai “campi di
rieducazione”. Si tratta di campi di prigionia, ubicati in
località isolate, dove vengono applicate massicciamente tecniche
coercitive, fisiche e psicologiche, per ottenere il crollo della
persona ed un successivo ricondizionamento politico.
Nel 1967, di fronte agli eccessi rivoluzionari, i nemici di Mao
si riorganizzano e formano proprie milizie armate. Contro di
esse scende in campo l’esercito che si schiera con le Guardie
Rosse. Dopo una serie di battaglie, costate migliaia di morti,
le principali città vengono riconquistate. La campagna militare
del 1968 permette infine di estendere il controllo a tutto il
paese.
Con il IX Congresso del PCC (Partito Comunista Cinese),
nell’aprile del 1969, il processo rivoluzionario si considera
terminato. Il congresso, nell’ottica della integrazione tra
esercito e partito, delega ai militari importanti cariche
politiche e designa Lin Piao come successore di Mao.
Col pretesto ufficiale di difendere la nazione e continuare
l’opera di indottrinamento, milioni di Guardie Rosse vengono
inviate nelle province più remote e inospitali. La diaspora
forzata ottiene l’effetto desiderato: di fatto il movimento
delle guardie rosse non esiste più. I funzionari di partito
vengono a costituire la nuova classe politica.
La chiusura del processo rivoluzionario fu sancita dal IX
congresso del PCC (Partito Comunista Cinese), nell'aprile del
1969, che attribuì importanti cariche politiche ai militari e
designò Lin Piao successore di Mao. L'integrazione tra esercito
e partito costituì la premessa per liquidare il movimento e
ristabilire l'ordine. Col pretesto di rafforzare le radici della
rivoluzione, milioni di Guardie Rosse furono inviate in aree
remote e inospitali, mentre progressivamente le istituzioni di
governo locale vengono ricostituite e poste sotto la direzione
di funzionari di partito. La morte di Mao Tse-Tung (1976)
conclude questo periodo storico.
Conclusioni:
Tutte queste vicende all’epoca forse non le conoscevamo nemmeno
bene, e molti di noi erano portati a valorizzare gli slanci
ideali del comunismo cinese, ignorando le migliaia di morti, la
deportazione, le torture, l’abolizione dei diritti umani, la
soppressione di intere comunità, i disagi fatti sopportare ai
singoli in nome dell’interesse collettivo.
“La rivoluzione non è una festa di gala” diceva Mao Tse-Tung e
tanto ci bastava.
Il modello delle Comuni Cinesi ci sembrava esportabile anche in
Italia ed auspicavamo la fondazione di un nuovo partito perché,
come diceva Mao, “Se si vuole fare la rivoluzione, ci deve
essere un partito rivoluzionario.��
Volevamo essere uniti e concordi perché, secondo Mao, “Per
suonare il pianoforte ci vogliono dieci dita”.
Chiamavamo i nostri nemici “Tigri di carta”; in molte città
italiane, presso le sedi dei movimenti politici più estremi si
celebravano i “Matrimoni Rossi”; venivano affittati grossi
appartamenti e trasformati in “Comuni Urbane”; i bambini
venivano accuditi negli “Asili Rossi”. Il modello cinese
sembrava molto interessante. Non c’è stato poi molto seguito.
Enrico Berlinguer definiva il PCI “un cavallo di razza” per il
quale i gruppi extraparlamentari erano solo “pidocchi sulla
criniera”. Gli operai non andavano a vedere i film di Godard.
Erano i sindacalisti e non gli studenti a organizzare i grossi
scioperi.
Il movimento pian piano si è sciolto.
Però, era bello sognare.
Alessandro Soncin