E' stata inaugurata sabato 11
marzo a Villa Rey, a Torino, la nuova sede dell' Asi. Oltre ai
rappresentanti dei 245 club federati e aderenti che
rappresentano quasi 100 mila appassionati di auto e moto
storiche, erano presenti all'evento il ministro per i Beni e le
attività Culturali Rocco Buttiglione, il vice ministro ai
Trasporti Ugo Martinat, il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino,
il prefetto, Goffredo Sottile e Monsignor Giuseppe Trucco,
Vicario del Vescovo, che ha benedetto i nuovi locali,il
presidente dell' ASI,Roberto Loi. Presentazione della scultura
"Vittoria" opera dello scultore Emauele Rubini,donata all'ASI
dal club pugliese Aste e Bilancieri di Bitonto (BA)
Dopo un restauro conservativo durato circa un anno, Villa Rey,
le cui origini risalgono al 1600, torna al suo splendore.
l'operazione è stata possibile grazie ad un accordo con la
Citta' di Torino che prevede, in cambio del restauro della Villa
costato un milione 321 mila 200 euro, il suo utilizzo da parte
dell'Asi per 35 anni.
La superficie di Villa Rey occupata dall'Automotoclub Storico
Italiano e' di 1.236 metri quadrati: comprende l' intero primo
piano e i solai al piano superiore. ''In questo modo - ha
commentato Loi - si potra' ospitare l' immenso archivio che
comprende oltre 300 mila fotografie di automobili, motociclette,
veicoli industriali e commerciali, trattori, veicoli militari,
imbarcazioni e aerei, censite in Italia.
EMANUELE RUBINI
Nel Novecento italiano
tre i periodi, con ascendenze culturali diverse, delle arti
plastiche con posizioni più o meno predominanti di alcuni
artisti (Modigliani e Boccioni negli anni 1910 – 15), Arturo
Martini nel periodo tra le due guerre (1914 – 45), Manzù e
Marini dal 1930 in poi la cui influenza culturale fu notevole
anche per i giovani maturatisi nel secondo dopoguerra ai quali
si contrapporranno quelli aderenti al cosiddetto "astrattismo"
nelle sue poliedriche e diverse angolazioni (Spazialismo,
strutturalismo, espressionismo, surrealismo, ecc.) con maggiori
possibilità di chiarezza formale e di intensità di espressione
pur nello sconcertante manifestarsi di alcuni proseliti, specie
quelli non impegnati nella figura umana (Lardera, Mirko, Viani e
tanti altri) consapevoli della possibilità, per la scultura, di
uscire da obsoleti mezzi neo umanistici, neo romantici,
archeologici e del tardo naturalismo rinascimentale che, nel
1945, avrebbero portato lo stesso grande sperimentatore di
stili, Arturo Martini, due anni prima della sua morte, a
dichiarare ormai finita la possibilità di fare scultura.
In realtà la scultura
moderna non ha una lunga storia in quanto la moderna concezione
dello spazio e della forma (Moore, Fontana e altri) si è
sviluppata specialmente nella pittura (si pensi a Degas, Renoir
e ancora a Matisse e a Picasso) che cercavano di realizzare
plasticamente le "nuove strutture" di forme e di immagini.
Continuava così la
storia a camminare sulle gambe degli uomini e la scultura,
legata per antica tradizione al pensiero stesso della storia, fu
essa ad indagare quale poteva e doveva essere il valore della
esperienza storica nella coscienza moderna e, con essa, il senso
della esistenza umana nel mondo.
Storia come poesia, come
mito, come sollecitazione interiore, come misura stessa del
tempo e dello spazio ideali in cui si svolge, si situa e si
compie la vita, in una sorte di nuovo umanesimo che è la verità
stessa cui tende la ricerca d’oggi con il suo potere di
espressione da contrapporre ad un inesistente ideale di bellezza
e con il rifiuto del contingente per aspirare all’assoluto.
Sin dalle prime opere di
Emanuele Rubini si avvertono le sceneggiature sapienti, il gioco
sottile e insinuante dei volumi che conducono a esiti rarefatti
nel morbido fluire dei ritmi, una ripresa mediterranea non
immemore della grande lezione di Henry Moore (i toni scanditi e
solenni).
Un andar libero delle
forme nello spazio lo porteranno, alcuni anni dopo, ad un
procedimento di scavo del masso per disegnare uno spazio interno
ed esterno secondo principi formali che tendono a sottolineare
la sua stessa tensione alla sintesi e le pulsioni dialettiche
della scultura che Rubini intende come "forma" che definisce la
dimensione aurea dello spazio in cui l’opera andrà a collocarsi.
La materia (il marmo di
Carrara, la pietra di Trani, il Rosa Verona ed altri) si presta
così a diventare presenza viva e reale, protagonista essa stessa
non solo di un’avventura plastica ma soprattutto di vicende
legate alla stessa storia dell’uomo, in una spazialità che sia
quanto più vicina possibile a quella dell’uomo d’oggi che è
dinamica e polivalente, lontana da ogni esecuzione che alla
labilità sperimentale voglia ispirarsi.
L’artista continua così,
nella ricerca di una pulizia formale assoluta che lascia
emergere una irreprimibile sensualità della materia, pur
levigatissima e gli stessi elementi di una figuratività residua
vengono a fondersi con rigorose strutturazioni spaziali per la
costante preoccupazione dell’artista di "levare" ogni resistenza
opprimente dal masso a vantaggio di una maggiore tensione vitale
che riesca a liberare l’energia interna contenuta in un continuo
rimettere in gioco ricerca e processo operativo per soddisfare i
continui e sempre nuovi interrogativi formali propri
dell’autentica tensione poetica.
Il suo diventa così atto
di amore che aderisce e cede alla stessa cadenza di una lingua
mediterranea, meridionale, all’entusiasmo della creazione più
che ad una qualsiasi indagine semantica degli strumenti
linguistici o a metodologie sperimentali.
La luce continua così ad
accarezzare queste forme, bloccandole in una unità di gesto, di
spazio – tempo, di tensione fatti di entusiasmi che alternano a
note acute pause melodiche.
Nascono, così, le opere
"Eva", "Fiamma", "Cleopatra" degli anni 2002 – 2003 mentre la
svolta decisiva, approdo a situazioni che guardino a contenuti
astratti e poetici della forma per porre l’interiorità, avviene
negli anni 2004 – 2005 con l’esecuzione delle opere "Gemma",
"Bora", "Venere", "Il tuffo", "Ghibli", "Anima" e "Madame
Butterfly" nelle quali si avverte la necessità dell’artista
bitontino di liberare la sua creazione scultorea dalla chiusa
staticità per farvi penetrare lo spazio.
Caratteristiche di
queste opere sono date dai volumi plastici totalmente sciolti in
archi e linee sinuose, leggibili da visuali diverse che dilatano
gli spazi conglobando l’essenza interiore allusivamente
misteriosa e la monumentalità dell’opera stessa è dissolta dal
puro movimento.
In queste opere
l’artista bitontino rispecchia l’evoluzione generale subita in
questi ultimi decenni dalla scultura, non solo europea, cercando
di distruggere quel concetto di monumentalità che nel passato
aveva costituito il suo prestigio.
Opera aperta da ogni
lato ("Gemma") più delle precedenti, che estende la cosiddetta
tridimensionalità scultorea in pluridimensionalità sì che la
luce e l’aria penetrano nelle ampie aperture dando vita a nuovi
miti che rendono vivi quelli antichi, in quanto l’artista presta
sempre attenzione ad una forma che garantendo un’esecuzione
immediata, alla vacuità di contenuti della scultura rigidamente
astratta, lascia prediligere sempre un’aderenza piena e sincera
alla emblematicità dell’uomo moderno teso verso una universalità
di tutte le forme di vita.
Come nelle precedenti
opere anche in "Dietro il Chador", ispirata al titolo di un
libro di racconti, cancellati ogni tratto del volto e della
mimica, la figura umana diviene un semplice elemento formale
nella cui costruzione fisiognomica le linee si intrecciano in
ogni punto di intersezione suscitando una impressione di spazi
illimitati, con superfici rifinite con cura, con una tessitura
esemplare, in un susseguirsi e intrecciarsi di una visione
sempre in bilico tra realtà/irrealtà.
Lello Spinelli |