ADISCO:
donare per credere
La
nascita dell’associazione si deve a grandi ematologi
italiani in un momento in
cui si
stava sviluppando la ricerca sulle cellule staminali.
Negli
anni ’90 la donazione del cordone ombelicale era solo
sperimentale e mirata.
La
proposta di dono veniva fatta cioè alle donne che avevano un
bambino malato
e stavano
per partorire un altro figlio.
Ma la
ricerca stava andando avanti, evidenziando la necessità di
una raccolta più
capillare
e sistematica, presupposto per creare strutture che
potessero gestire sia
il
processo di prelievo e conservazione, sia l’utilizzazione
terapeutica in campo
ematologico: nascevano così le prime Banche di Sangue di
Cordone Ombelicale
(Milano
Cord Blood Bank nel 1993) e ADISCO (1995) come associazione
di donne
disposte
a donare dopo il parto, il sangue del cordone ombelicale che
sarebbe
altrimenti gettato via.
ADISCO si
è mossa e si sta muovendo soprattutto nel campo della
sensibilizzazione. In questi dieci anni di vita ha cercato
di penetrare in tutte le
Regioni
per promuovere la cultura del dono di sangue cordonale in
termini di
gesto
collettivo, ciascuno riferito al proprio ruolo e consapevole
del contributo
dell’altro: della futura mamma a dare il consenso, del
personale ostetrico ad
effettuare il prelievo e la raccolta, delle istituzioni a
sostenere la ricerca.
Infatti
per donare il sangue del cordone ombelicale non basta la
buona volontà
della
madre, è indispensabile che ci sia una struttura capace di
eseguire
l’operazione secondo gli standard di qualità imposti dalla
normativa europea
(certificazione ISO 9002), che comporta la presenza in sala
parto di personale
formato e
dedicato alla raccolta (ostetriche e infermieri
professionali specializzati),
locali e
attrezzature a norma, nonché il fondamentale collegamento ad
una
Banca,
autorizzata dalla Regione, in cui si provvede all’analisi
del campione e alla
sua
conservazione.
ADISCO
conta circa 2000 soci ordinari ed è strutturata in 12
sezioni regionali
e 8
territoriali che organizzano il proprio lavoro di
volontariato collaborando con
la Banca
di sangue cordonale o con gli istituti di ematologia ed
oncologia
pediatrica referenti alla sezione
IL SANGUE
DEL CORDONE OMBELICALE
Dalla
vita per la vita
Il
cordone ombelicale, che normalmente viene gettato, contiene
sangue ricco di cellule staminali, le stesse del midollo
osseo. E una donna che decide di donare quel sangue offre a
tante persone malate una speranza in più di guarire e
tornare alla vita.
Cosa c'è
nel sangue del cordone ombelicale?
Il sangue
del cordone ombelicale contiene cellule staminali, identiche
a quelle presenti nel midollo osseo, capaci di generare
globuli rossi, globuli bianchi e piastrine: gli elementi
fondamentali del nostro sangue. Circa il 40 - 50 % dei
pazienti affetti da leucemia e linfomi, per i quali é
necessario il trapianto di midollo osseo, non dispone di un
donatore compatibile nell'ambito familiare o nei registri
internazionali dei donatori volontari di midollo osseo. Il
sangue del cordone ombelicale può sostituire il midollo per
il trapianto.
DONAZIONI
E RICERCA: UN BINOMIO VITALE
Il sangue
di cordone ombelicale donato presso le Banche
pubbliche
offre già nuove opportunità di cura e tante potenziali
applicazioni nella medicina rigenerativa
In tutto
il mondo l’incidenza della leucemia nelle sue varie
espressioni cliniche è
in
continuo aumento. L’Italia, tra l’altro, nell’ambito dei
paesi occidentali, vanta il
poco
invidiabile primo posto nell’incidenza della malattia con
10-12 nuovi casi
all’anno
ogni 100 mila abitanti, in complessivo, circa 500 di questi
riguardano
bambini
al di sotto dei 14 anni.
Per
alcuni casi la guarigione dipende dalla tempestività con la
quale viene
effettuato il trapianto di midollo osseo, che permette al
paziente – attraverso
l’infusione di cellule staminali emopoietiche - la
possibilità di produrre sangue
sano.
Generalmente, per un paziente in attesa di trapianto la
probabilità di reperire un
donatore
compatibile in ambito famigliare è pari al 25% circa e del
restante 75%,
solo il
35% riesce a reperire un donatore compatibile nei Registri
Internazionali di
midollo
osseo (circa 9 milioni di unità).
La buona
notizia è che tutti coloro non disponessero di donatore di
midollo osseo
compatibile e, soprattutto, non potessero permettersi di
attendere i tempi della
ricerca
(circa 6 mesi), troveranno un’alternativa altrettanto
efficace
e sicura:
il sangue da cordone ombelicale.
Risale al
1974 la prima dimostrazione della presenza di cellule
staminali
emopoietiche (ovvero cellule capaci di produrre globuli
bianchi, globuli rossi e
piastrine
in quantità tali da ricostituire il midollo osseo), nel
Sangue di Cordone
Ombelicale (SCO) o placentare.
La
possibilità di impiegare questo sangue - prelevato dopo il
parto e la recisione
del
cordone ombelicale (circa 100 cc) - nel trapianto di
pazienti affetti da patologie
ematologiche, sia neoplastiche (leucemie e linfomi), sia non
neoplastiche (gravi
forme di
anemia, talassemia), è stata successivamente precisata in
numerosi
studi e
definitivamente confermata nel 1989 dopo il caso di un
paziente affetto da
anemia di
Fanconi curato con successo con il trapianto di cellule
staminali
provenienti dal cordone ombelicale di suo fratello.
Nel 1993
fu effettuato il primo trapianto con sangue placentare non
correlato e da
allora il
numero di trapianti effettuati continua a crescere,
confermando la grande
potenzialità delle cellule staminali del sangue placentare
che, per alcuni aspetti,
sono da
ritenersi persino “migliori” rispetto a quelle contenute nel
midollo osseo.
Ad
esempio, le cellule staminali presenti nel sangue placentare
sono meno
aggressive dal punto di vista immunologico e quindi risulta
più bassa l’incidenza
della
malattia del trapianto verso l’ospite (Graft Versus Host
Disease), una delle
più gravi
complicanze post trapianto, cosa che permette di usare
criteri meno
restrittivi, in termini di compatibilità HLA (Human
Leucocyte Antigens), nella
selezione
dell’unità cordonale rispetto alla scelta del donatore di
midollo.
Complessivamente i risultati delle due procedure
trapiantologiche sono
sovrapponibili se valutate a distanza di tempo,
particolarmente nei pazienti
pediatrici (peso non superiore ai 50 Kg), dato che nei
pazienti adulti di peso
corporeo
più elevato la quantità di cellule staminali presenti in una
sacca di
sangue
placentare non sempre è sufficiente. Ultimamente si sta
cercando di
superare
questo svantaggio legate alla dose cellulare, trapiantando
due sacche
allo
stesso paziente o coltivando in laboratorio le cellule
staminali per
aumentarne il numero prima del trapianto.
Per
quanto riguarda le prospettive di utilizzo, in alcuni
policlinici italiani (Milano,
Pavia,
Torino, Padova, Bologna, etc.) sono in corso di studio
applicazioni
terapeutiche del tutto innovative che riguardano la
“plasticità” delle cellule
staminali,
caratteristica che consente la differenziazione in cellule
somatiche
appartenenti a tessuti di natura non emopoietica come cuore,
tessuto muscolare,
tessuto
nervoso, etc. e che sembrerebbe particolarmente spiccata
nelle cellule di
sangue
placentare. Vale a dire che si intravede la possibilità di
far moltiplicare in
laboratorio le cellule staminali prelevate da un organo e
trasformarle in cellule di
altri
tessuti.
Gli studi
in corso (finora solo su modello animale) riguardano
soprattutto
l’ematologia, la cardiologia e la neurologia, ma è presto
per parlare di nuove
strategie
di cura, così come è difficile prevederne i tempi di
realizzazione:
occorre
abbinare una formidabile (e costosa) ricerca in laboratorio
a un braccio
operativo
che traduca i risultati in protocolli clinici applicabili
all’uomo, quindi
con
caratteristiche di sicurezza e sterilità, con divisibilità
etica.
E’
comprensibile favorire la speranza, ma allo stato attuale
sarebbe irresponsabile
promettere la trattabilità di tante malattie che affliggono
la società attraverso il
ricorso
alla terapia cellulare, viceversa è saggio mantenere un
cauto ottimismo
sulle
potenzialità finora riscontrate dalla comunità scientifica
internazionale più
accreditata.
Nel mondo
sono attivi circa 40 programmi di bancaggio pubblico non
autologo
(cioè
destinato ad un ricevente diverso dal donatore), con un
inventario globale di
circa
200.000 donazioni disponibili via rete a tutti i centri
trapianto del mondo
che ne
facciano richiesta.
In Italia
la gestione del sangue placentare – come ogni altro tipo di
sangue (vedi a
scopo
trasfusionale) – è affidata alle strutture pubbliche, sotto
il coordinamento
del
Centro Nazionale Trapianti e si basa sulla disponibilità di
donatrici.