Torino, 1 maggio 2009
La grande festa del cavallo a San Francesco al Campo
(TO)
Venerdì 1 maggio 2009 è iniziata la festa del cavallo al velodromo
di San francesco al Campo (TO)
E’ iniziata alle 8 la fiera mercato, esposizione commerciale e
agricola con dimostrazioni dei circoli ippici locali; in
contemporanea c’era anche il volontariato in piazza, alle 9 al
bocciodromo è iniziata la mostra dei galli Shamo ; causa maltempo
non si è svolto il team penning che deriva dal lavoro nei ranch.
Nella gara, tre cavalieri lottano contro il tempo per tagliare tre
capi e spingerli al lato opposto dell’arena e chiuderli in un
piccolo recinto allestito in fondo al campo di gara. Per vincere, la
squadra deve portare a termine il compito in meno di 90 secondi e
più rapidamente di qualsiasi altra formazione, alle 14 e 30 si è
svolto il battesimo della sella cioè dimostrazioni e passeggiate con
pony, alle 18 si è svolto il palio equestre storico fra le borgate.
Sabato 2 maggio alle 14,30 ci sarà gara di mountain bike, alle 21 il
concerto degli Oronero Tribute Band e infine alle 23 discoteca
all’aperto, per concludersi domenica 3 maggio con i raduno dei mezzi
storici, auto, moto e trattori che alle 10,45 sfileranno per il
paese, alle 10 e alle 14,30 ci sarà la gimcana equestre, e alle 15
premiazione dei mezzi storici.
Laura Genovese
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Gli indiani, il cavallo e altri animali
Con l’arrivo dell’uomo bianco, le culture, il modo di vita e persino
le tradizioni dei Nativi mutarono radicalmente. Il principale
elemento di trasformazione fu rappresentato dal cavallo. Originario
dell’America, questo animale scomparve in epoca preistorica,
spostandosi nelle terre del Vecchio Mondo. Con l’arrivo degli
Spagnoli nel continente americano, fece ritorno nei suoi luoghi
nativi in cui, trovando un habitat ideale, riuscì a sopravvivere e a
moltiplicarsi.
Probabilmente, i grandi branchi di cavalli selvaggi che nel giro di
poco tempo popolarono le pianure, ebbero origine dai pochi esemplari
scappati agli Spagnoli. In circa 250 anni tutte le popolazioni
indiane vennero a contatto con la razza equina.
Prima del cavallo uno dei pochi animali domestici delle tribù del
Nord America era il cane, utilizzato come bestia da traino, ma anche
per scopi alimentari.
Con i cavalli cambiò la vita degli indiani
Con la cattura dei primi esemplari di cavalli vi fu una vera e
propria rivoluzione nel modo di vita dei Nativi. Da sedentari quali
erano, iniziarono a spostarsi con maggior frequenza. Al cavallo fu
attaccato il travois, un traino privo di ruote (i Nativi non
conoscevano la ruota), composto da due stanghe, fissate sui fianchi
dell’animale, e un piano su cui si sistemava tutto ciò che era da
trasportare, cioè il minimo indispensabile, che era poi l’intero
corredo della famiglia.
Tra i vari cambiamenti portati dal nuovo stile di vita, mutò anche
il modo di fare la guerra tra le varie tribù.
Si tenga presente che lo stato naturale delle famiglie indiane era
quello belligerante. Fare la guerra era un mezzo per acquistare
onore e prestigio in seno alla tribù. Venivano compiuti veloci raid,
il cui scopo era quello di procurarsi il maggior numero di cavalli
possibile.
Infatti sul possesso di questi animali si basava la ricchezza di un
individuo, e il furto di cavalli era una delle azioni più valorose
che un guerriero potesse compiere.
Poco alla volta l’Indiano si trasformò in un esperto cavallerizzo ma
soprattutto in un ottimo cacciatore.Mentre prima dell’avvento del
cavallo la caccia non era il principale mezzo di sostentamento per i
Nativi, essendo questi principalmente agricoltori, in seguito l’arte
venatoria divenne talmente importante da condizionare l’intera
esistenza del gruppo. La vittima preferita era il bisonte, il «buffalo»
americano (spesso tradotto erroneamente in italiano col termine
bufalo).
Del bisonte si utilizzava tutto: la carne veniva o consumata subito
(specie i bocconi prelibati, quali la lingua e il fegato, che
spettavano a colui che aveva ucciso l’animale o agli anziani o alle
donne incinte) oppure, tagliata in strisce, veniva fatta essiccare
al sole, quindi polverizzata e conservata in sacchetti di pelle per
essere consumata durante l’inverno. Con l’aggiunta di grasso e di
frutta selvatica diveniva pemmicam, una sorta di brodo molto
saporito. Le parti non commestibili della carcassa - pelle, ossa,
tendini, coma e zoccoli - servivano per fabbricare utensili, per
confezionare i vestiti e le coperture delle tende. a pelle veniva
conciata dalle donne, resa morbida e trasformata in abiti, mocassini
e borse, cuciti con fili di tendini o di crine per mezzo di aghi di
osso; resa impermeabile costituiva il rivestimento della tenda
conica, il tepee. Con le ossa, le coma e gli zoccoli si producevano
coltelli, punte di freccia, cucchiai, ciotole. Con i tendini e il
crine si intrecciavano le funi e le corde per gli archi. Con l’uso
del cavallo divenne più semplice cacciare il bisonte: la tecnica
consisteva nell’accerchiare il branco e attaccarlo da più direzioni.
Un solo cacciatore poteva occuparsi di una singola bestia,
stancandola e quindi finirla anche con un’unica freccia. Infatti un
insegnamento tramandato da padre in figlio diceva che se si colpiva
la preda nel punto giusto, anche una sola freccia poteva bastare: ad
esempio, colpendo tra le ultime costole, il proiettile avrebbe
potuto raggiungere il cuore e freddare la bestia, oppure, mirando
alla giuntura dell’anca, il bisonte era costretto ad accosciarsi e
diventare facilmente raggiungibile dal cacciatore.
Per affrontare la mandria, gli Indiani si dividevano in gruppi di
notevoli dimensioni, la cui guida era affidata ai cosiddetti soldier,
componenti di clan particolari, notevolmente abili e validi, che
avevano funzione di polizia.
Dovevano mantenere l’ordine tra i cacciatori che erano tenuti a
seguire e obbedire alle loro direttive. Ogni uomo portava con sé due
cavalcature: ad un segnale stabilito, in prossimità della mandria,
si montava il cavallo da caccia e si partiva all’inseguimento dei
bisonti. Senza briglie ne sella, l’abilità dei cacciatori consisteva
nel reggersi con le sole ginocchio ai fianchi della cavalcatura,
scoccare frecce o sparare e ricaricare l’arma.
Nonostante le grandi possibilità date dal cavallo e dalle armi da
fuoco, gli Indiani uccidevano solo il numero di bestie necessario
per il loro sostentamento; miravano agli animali adulti, con
preferenza ai maschi; tentavano, in sintesi, di mantenere un
equilibrio naturale che permettesse il continuo rigenerarsi delle
mandrie che attraversavano stagionalmente le praterie e che essi
costantemente seguivano.
Il loro nomadismo era infatti dettato dalla necessità di cercare
nutriti gruppi di bisonti per soddisfare i loro bisogni.
Alessandro Soncin
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